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Immagine del redattoreErika Arena

Perché si mangia troppo e troppo spesso? Un’ipotesi dalla teoria di Freud e di Segal.

articolo a cura di Claudio A. Lombardo

Laureando in Scienze dell'Alimentazione e Gastronomia

Introduzione: Omeostasi e Cervello

L’omeostasi energetica è garantita (anche) dalla modulazione di molteplici sistemi neuronali selettivi e da segnali periferici. Una delle ragioni principali per le quali siamo motivati a mangiare è quella di produrre piacere (cibo → rilascio di dopamina → piacere) e mantenere un determinato equilibrio cerebrale tramite la presa in carico da parte dell’organismo di specifici elementi (nutrienti) indispensabili per il corretto funzionamento del nostro cervello – e, quindi, del corpo.

L’uomo si nutre non solo per soddisfare le proprie richieste energetiche e di nutrienti, ma anche per il piacere di mangiare alimenti gradevoli al palato e per sperimentare un certo livello di benessere mentale. Per tale motivo mettersi a dieta è sempre una faccenda malinconica e solitaria. Il nostro corpo, infatti, regola i principali neurotrasmettitori anche tramite l’assunzione di cibo. In quest’ottica il sovrappeso può avere funzione stabilizzante su un umore alterato da squilibri che si verificano nelle precitate sostanze chimiche, come la serotonina, dopamina, ossitocina, etc.


Ma cosa permette a questo circuito (composto, principalmente, dal sistema cerebrale ed enterico) di

raggiungere un equilibrio e permetterci un consumo alimentare adeguato?


Over-eating e neurotrasmettitori

Negli ultimi anni la ricerca scientifica e clinica, volta allo studio dei disturbi del comportamento alimentare, ha evidenziato la stretta connessione tra la sfera psichica e il sistema neuroendocrino e, quindi, l’importanza fondamentale che riveste l’integrazione di entrambe le componenti per una complessiva ed esaustiva valutazione del problema (Basdevant et al.,1992; Bersani, 1994; Williams et al., 2001).

L’introito eccessivo di zuccheri, grassi e sale, associato alla varietà di stimoli alimentari e alla maggiore appetibilità legata all’accentuata consistenza gustativa degli alimenti, sembra indurre nelle persone un over-eating (iperfagia o consumo smodato di alimenti) basato su meccanismi neuroendocrini legati alla gratificazione. Gli attuali cibi avrebbero più presa sui centri di ricompensa del cervello e, nei soggetti predisposti alle dipendenze, come nelle persone a rischio di alcolismo. Questo potrebbe significare aver bisogno di mangiare di più per trovare maggiore soddisfazione, portando quindi a maggior rischio di obesità (studio pubblicato sull’Archives of General Psychiatry). La maggior parte delle sostanze d’abuso (alcol, eroina, marijuana, benzodiazepine, cocaina e amfetamine) e stimoli ambientali di varia natura come il cibo, l’attività sessuale, il gioco, determinano un aumento della trasmissione dopaminergica a livello della regione

shell del nucleo accumbens; questo è tradizionalmente considerato il meccanismo alla base della gratificazione e degli effetti rinforzanti delle sostanze d’abuso. Il sistema dopaminergico controlla la spinta motivazionale alla ricerca dello stimolo gratificante e il sistema oppioide media i processi di gratificazione derivanti dal consumo della sostanza. Nello specifico la dopamina è coinvolta nell’apprendimento di stimoli associati a ricompensa e nei comportamenti di decisione sulla base di premi e punizioni attesi. In tal senso emerge come conseguenza logica se gli individui che presentano alterazione della dopamina – causata da un’educazione invasiva e frustrante – ripieghino nel cibo per salvaguardare i livelli di questo importante neuro-trasmettitore; in questa circostanza viene messa in rilievo l’importanza della memoria che spinge il soggetto all’iperfagia nonché alla genesi di tracce mnestiche dipendenti da questo fenomeno compulsivo. (La severità del

sovrappeso potrebbe essere frutto di quest’ultima circostanza: da un leggero sovrappeso ad un’obesità impegnativa i “residui” psicologici sono conseguenza di quelli cerebrali, ovvero corporei.)


Perché si mangia troppo?

Numerosi sono i neurotrasmettitori coinvolti con i meccanismi fame/sazietà. Tra questi, ne emerge uno connesso alla “ricompensa”: la dopamina, che a livello del nucleo accumbens è rilasciata in seguito alla presentazione di stimoli appetitivi che determinano la motivazione al consumo alimentare, ma anche di stimoli nuovi, salienti o imprevisti. In tali casi, l’accessibilità – soprattutto in casa – di determinati cibi “imprevisti” (junk food) può compromettere seriamente le scelte alimentari del soggetto. La ricercatrice Barbara Rolls (2003) e i suoi colleghi della Pennsylvania State University, hanno scoperto che più cibo ci viene proposto, maggiore è la probabilità di mangiarlo. Babbuini, allevati dall’infanzia in laboratorio con un congegno di auto-alimentazione da cui si poteva ottenere la loro dieta preconfezionata, raggiungevano un peso maggiore se il cibo era accessibile a tutte le ore rispetto a quelli cui era offerto periodicamente (Voss et al., 1971). Nel mondo animale esiste un modello sperimentale che rappresenta quest’ultima circostanza, ed è

quello del ratto della sabbia (‘sand rat’) che, vivendo nel suo habitat naturale, in condizioni di scarsità di cibo, manteneva un peso adeguato, mentre il trasferimento in laboratorio con facilità di accesso al cibo determinava l’insorgenza dell’obesità (Ravussinet al., 1988; Zurlo et al., 1990).


Il nostro peccato di gola: la civilizzazione

Orbene, se a questa ricerca sostituiamo le circostanze animali con quelle da umani (e.g. laboratorio con casa) comprendiamo subito che, tale parallelismo, può farci comprendere alcune motivazioni insite nella continua ricerca o consumo di cibo.

In primo luogo, emerge con evidenza l’accessibilità al cibo, ovvero, ad una vasta gamma di prodotti alimentari – soprattutto a quelli ad alto tenore energetico.

In secondo luogo, per meglio comprendere la dinamica dell’iperfagia, vorrei riferirmi al discorso freudiano delle pulsioni: sessualità e aggressività. Per quanto concerne quest’ultima, può amplificarsi in “pulsione di morte”, una forza distruttiva dentro noi essere umani, la “pura entropia del comportamento”, se così potremmo definirla, ovvero quella carica che si accumula dentro di noi e che può dirigerci ad una vera e propria esplosione comportamentale: la collera, l’irritazione, il nervosismo, la tensione interiore, la nostalgia, l’ansia, la depressione…l’iperfagia!

La civiltà ha prima occluso, poi esorcizzato questa parte dal nostro repertorio comportamentale, che risiede in uno dei frammenti che compongono il sistema-persona: l’inconscio. Tuttavia, quello che viene modificato contro-natura in una parte del sistema (e.g. la civiltà, con le sue regole, non consente più di scaricare la nostra aggressività o sessualità in maniera libera, ne consegue un “blocco” della nostra libertà, nel nostro inconscio) si ripresenta, a volte in modo più subdolo e prepotente, in un’altra parte del sistema (e.g. un consumo calorico abnorme); è ciò che nella teoria dei «sistemi complessi adattivi» viene definito auto-organizzazione.

La domanda sorge spontanea: l’iperfagia può conseguire al deficit animale?

Fu Freud sulla scorta di Wundt e Janet a fondare la concezione della “carica psichica”: l’energia aumenta, diminuisce, si incanala, si suddivide e si annulla. “Vivere nella natura” e “lavorare per vivere” permetteva a questa “energia animale di venire dissipata.

Il mondo costruito dalle teorie freudiane, infatti, era dominato da pulsioni, che trasportano in violente e incontrollate passioni, proprio come le opere di Breton e Soupault!

Se a questa ipotesi aggiungiamo la teoria di Segal (sulla scorta di McLean), ovvero la «finestra di tolleranza» (figura 2), dove è presente un limite superiore e uno inferiore; mantenersi all’interno di questa “finestra” mediante l’alternanza tra l’espressione, lo scarico della carica energetica (sistema simpatico: attività fisica, aperta espressione delle proprie emozioni, canalizzazione delle emozioni istintuali come la rabbia, etc.) e la sua ricarica (sistema parasimpatico: sonno, riposo, attività rilassanti) porta alla normalità delle reazioni, quello che in altri termini definiamo «equilibrio».

Di seguito il grafico che mi ricorda l’elementare trasmissione sinaptica, anch’essa vittima del potenziale di azione! Lo scopo è quello di evitare i segnali soprasoglia!

Per rendere la problematica ancora più chiara possiamo fare un esempio con la glicemia, la concentrazione di glucosio (uno zucchero) presente nel sangue. Quando è al limite inferiore il funzionamento del corpo non è efficiente, allo stesso modo quando si trova a quello superiore (valori bordeline) subentrano medesimi e nuovi problemi, come sonnolenza, stanchezza, spossatezza, capacità ridotta di ragionamento e via dicendo.

Dipende dal materiale alimentare ingerito e dalla nostra genetica. Allo stesso modo, il comportamento aggressivo dipende dalle nostre predisposizioni innate e dal materiale “psico- sociale” che assorbiamo, percepiamo ed elaboriamo fin dall’infanzia (esperienze derivanti da famiglia, gruppo dei pari, relazioni, etc.). Un concetto che, casualmente(?), si sposa bene con il comportamento alimentare. In tutto questo l’alimentazione svolge un ruolo fondamentale.

Conclusioni

Oggi si assiste ad un vero e proprio “esorcismo” di parti che hanno costituito da sempre il nostro sistema-persona credendo che, il concetto di “civiltà”, spinto all’estremo, possa portarci ad una indiscutibile evoluzione. Lo vediamo nei “nostri” ragazzi, la nuova generazione: cifosi, occhiali, ipotonia muscolare, obesità infantile, per non parlare di quei zombie rapiti da smartphone…. dove è finita la nostra animalità?


Claudio A. Lombardo


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