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TRASMETTERE LA NUTRIZIONE AL BAMBINO

articolo a cura di CHIARA SCATENA

LaureandA in Scienze dell'Alimentazione e Gastronomia


L’equilibrio alimentare, inteso come prodotto di consapevolezza, bilanciamento, gusto, varietà e capacità di scegliere, è un percorso che inizia ancor prima della nascita, nel grembo della madre e continua fino all’età adulta. E’ una capacità innata ma che il bambino è destinato a perdere, per questo motivo il ruolo dei genitori è fondamentale nel processo di costruzione di un rapporto virtuoso con l’alimentazione, libero dall’emotività ed il più possibile in sintonia con i segnali che il corpo ci manda, imparando a dare loro ascolto.

La propensione a determinati gusti si forma già prima della nascita, infatti alcuni esperimenti mostrano come i gusti della madre vengano trasmessi al feto attraverso il liquido amniotico. La scienza, inoltre, ha dimostrato che i neonati e i bambini sanno in maniera istintiva cosa mangiare e quanto; questa saggezza interna deriva dalla connessione che hanno con i messaggi del corpo, infatti se si dà loro il tempo e un’ampia scelta, ci rendiamo conto che mangeranno la giusta quantità di calorie e macronutrienti. Questo istinto naturale all’equilibrio porta i bambini a mangiare quando hanno fame e smettere quando sono sazi. Con la crescita l’efficace meccanismo di autoregolazione viene perso, non si mangia più perché si ha fame ma perché è l’ora del pasto, non scegliamo più un certo alimento perché l’organismo lo richiede, ma perché lo desideriamo.


Questo primitivo istinto andrebbe incentivato e coltivato, per rendere i futuri adolescenti e adulti

consapevoli, ma come fare? Ci sono una serie di accorgimenti nell’ambito familiare che possono aiutare: quando un bambino, ad esempio, dice di non voler mangiare, è abitudine di molti genitori insistere per far terminare quello che si trova nel piatto, ma questo comportamento suggerisce indirettamente al bambino di non prestare attenzione e di non fidarsi dei segnali che arrivano dal proprio corpo, ma piuttosto di farsi influenzare dai segnali esterni, in questo caso i genitori. Questo a lungo andare impedisce lo sviluppo della capacità di autoregolarsi in base alla fame e sazietà e la possibile conseguenza è quella di sviluppare la dipendenza da input esterni.


Allora, in che modo i genitori devono intervenire sull’educazione alimentare dei figli?

Gli studi effettuati dimostrano che le naturali preferenze di gusto tendono ad essere rivolte a sapori intensamente dolci, salati o aspri, il che li rende particolarmente vulnerabili ai principali responsabili dell’obesità, ovvero: zuccheri, sale e grassi. E’ compito dei genitori ridurre l’assunzione di cibi non salutari e aiutarli a selezionare quelli a maggior qualità nutrizionale. Il mix di carboidrati, grassi e sale è anestetizzante per l’autoregolazione, perché inattiva la capacità di sentire sazietà. Non a caso i cibi da cui più persone hanno dipendenza presentano una combinazione perfetta di zuccheri, grassi e sale, che porta al famoso “bliss point”.


I genitori hanno però un vantaggio: i bambini sono suggestionabili, perché la loro esperienza sensoriale è pari a zero, e si fidano totalmente di chi li nutre. I comportamenti alimentari traggono origine dal significato che viene attribuito all’azione del mangiare e chi offre il cibo ha un ruolo chiave in questo meccanismo. Il cibo infatti non ha solo un valore nutritivo, ma anche psicologico e sociale.


Il neonato percepisce questo valore, poiché sente come gli adulti intorno a lui interpretano il cibo e assimila le loro relazioni con esso. Il rischio in cui incorrono gli adulti è quello di attribuire significati affettivi all’alimentazione e i principali atteggiamenti che fortificano questo comportamento disfunzionale sono ad esempio la preoccupazione eccessiva perché il bambino mangia troppo o troppo poco, la gioia perché ha mangiato, il comunicare in modo sbagliato l’essere a dieta di un genitore o cercare di spiegare loro concetti legati alle calorie.

Spesso capita di utilizzare il cibo come strumento, brandire gli alimenti come oggetti di potere per imporre regole o ottenere risultati. Infatti è comune incorrere in frasi come “vai a letto senza cena” oppure “sei stato bravo, ti meriti un bel dolce” o ancora offrire uno snack al bambino che si fatto male. Punire, premiare o consolare attraverso il cibo, conferisce valenze psico-comportamentali all’atto di nutrirsi. La scienza che si occupa di queste dinamiche lo conferma, infatti anche lo psicologo Bernard Lyman nel libro “A Psychology of Food”, scrive che il cibo durante la nostra crescita gioca un ruolo dominante e confusionale perché le necessità nutrizionali vengono scambiate con quello che ci viene imposto dalla famiglia e dalla cultura.

Anche lo psicologo gallese David Benton ha stilato alcuni consigli su come incentivare i propri figli a coltivare sane abitudini alimentari, specificando che la componente emotiva è centrale nell’alimentazione e che il momento del pasto non dovrebbe mai essere negativamente connotato per il bambino.


Nella fascia di età tra i diciotto e i ventiquattro mesi il bambino attraversa la fase dell’innata paura del nuovo: la neofobia. E’ durante questo lasso di tempo che la famiglia ha il ruolo di guidare le scelte e plasmare il gusto sfruttando l’effetto esposizione attraverso la variazione frequente dei cibi, trasmettendo la sensazione di sicurezza, rendendoli conosciuti, familiari e può essere usato come strumento educativo.

E’ difficile far accettare ai bambini nuovi alimenti nel periodo della neofobia, infatti talvolta i genitori ricorrono a strategie per far assumere loro cibi che detestano come ad esempio camuffare o nascondere le verdure. Gli studi evidenziano come la familiarità con essi influenzi i bambini quando si trovano di fronte ad una scelta ed è per questo importante fornire loro lo strumento giusto per scegliere: un ampia varietà di alimenti.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’obesità infantile è un grande problema di salute pubblica che negli ultimi trent’anni ha registrato una crescita davvero rilevante. L’Italia ha una delle posizioni più alte in classifica, come dimostrano alcuni datti tutt’altro che confortanti: quasi l’8% dei bambini non assume la colazione al mattino e il 33% ha consumato una colazione non adeguata. Il 54% dei bambini assume a metà mattina alimenti ad elevata densità energetica, il 20% non consuma quotidianamente frutta e verdura e il 36% consuma tutti i giorni bevande zuccherate e gassate. Tutti questi indicatori sono strettamente legati a un maggior rischio di obesità.


Ma cosa comporta l’obesità?

Le conseguenze di questa malattia non sono estetiche, ma legate alla salute. I bambini che ne soffrono hanno molte possibilità di sviluppare precocemente una serie di patologie croniche, come ad esempio malattie cardiovascolari, diabete, malattie muscolo-scheletriche o addirittura tumori. Sono molteplici i fattori che possono contribuire all’obesità e coinvolgono i diversi momenti della vita. Gli studi ci informano che l’allattamento al seno fino ad almeno il sesto mese di età è un efficace mezzo di prevenzione, ma nella maggior parte dei casi il problema è legato ad abitudini scorrette, in particolare l’alto consumo di grassi, zuccheri e quello scarso di frutta, verdura e legumi. In aggiunta, l’attività fisica è sempre più in calo tra i bambini e gli adolescenti, contribuendo alla già vasta lista di fattori potenzialmente dannosi. Imparare a scegliere, a differenziare, è quello che dobbiamo trasmettere, con lo scopo di non creare con il cibo un rapporto influenzato da fattori esterni e gestito dalle emozioni. Perché è vero che “siamo quello che mangiamo” e sarebbe superfluo non ammettere che quello con il cibo è un rapporto intimo, perché “qualcosa entro dentro di noi, si trasforma e ci trasforma” (S. Argentieri).


A questo punto, quali accortezze mettere in pratica per trasmettere al bambino la consapevolezza

delle proprie scelte?

1. Coinvolgere il proprio figlio in cucina! Sia nelle preparazioni sia nella scelta del cibo, metterlo

anche di fronte a scelte;

2. Proporre sempre nuovi alimenti, variare! Far sì che l’alimentazione non sia monotona e mai

scontata;

3. Sperimentare l’uso di tutti i sensi! Magari attraverso giochi come far chiudere loro gli occhi e

indovinare il cibo, utilizzare le mani per conoscere le diverse consistenze;

4. Far servire il bambino da solo a tavola, in modo da permettergli di regolare le proprie porzioni;

5. Presentare il cibo uguale a quello degli adulti! E non spezzettato ed irriconoscibile, così che il

bambino impari qual è l’aspetto del cibo;

6. Divertirsi! Trasmettere al proprio figlio il divertimento della sperimentazione e il piacere di

cucinare per trasmettere amore.


CHIARA SCATENA

SITOGRAFIA:

https://www.medicalfacts.it/2019/11/13/dati-obesita-infantile/

https://www.nutrimi.it/wp-content/uploads/2019/09/NutriMI_rivista_2016.pdf

BIBLIOGRAFIA:

Revelli Sorini A. e Cutini S., Manuale di Gastrosofia, Alieno Editrice, Italia, 2019.

Lyman B., A Psychology of Food, Van Nostrand Reinhold Company, New York, 1988.





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