articolo a cura di CHIARA SCATENA
LaureandA in Scienze dell'Alimentazione e Gastronomia
Mangiare, nutrirsi, provare piacere attraverso il cibo, sono tanti gli aspetti legati all’ancestrale atto di cibarsi e sono tanti i significati che questa azione può assumere a livello emotivo e culturale.
Il concetto di fame è legato al primordiale bisogno dell’uomo di nutrirsi, è una sensazione di disagio, che più o meno quotidianamente tutti proviamo, infatti è definita: “necessità di assumere cibo, dovuta ad una sensazione di vuoto all’epigastrio, provocata da uno stimolo nervoso presente nello stomaco”. Al contrario, la sazietà viene descritta come “appagamento completo e talvolta eccessivo dell'appetito, tanto da procurare spesso noia, disgusto, nausea”. Ma per comprendere e contestualizzare questi meccanismi è necessario introdurre altri due concetti fondamentali: “pienezza” e “appetito”.
Innanzitutto a livello anatomico il segnale di fame è regolato da ormoni che indicano all’organismo quando mangiare e quando invece fermarsi attraverso la sensazione di pienezza, che precede la sazietà. Talvolta confuse, queste ultime rappresentano due diverse condizioni: la prima è ricevuta dal cervello attraverso segnali neuro-ormonali inviati a causa della distensione delle pareti dello stomaco, mentre la seconda raggiunge il cervello solo successivamente. L’appetito invece appartiene all’ambito delle emozioni, rappresenta un impulso ad appagare i propri desideri ed istinti e talvolta serve una particolare attenzione all’ascolto di noi stessi per distinguere se quella che stiamo provando è fame oppure appetito.
Gli ormoni sono i principali responsabili della regolazione di questi meccanismi, infatti il comportamento alimentare è controllato dalla regione ipotalamica, contenente interconnessioni tra le quali è possibile distinguere due reti, una oressizzante che favorisce l’appetito e l’altra che lo inibisce, detta anoressizzante; ed entrambe sintetizzano ormoni. Questo sistema neuronale gestisce il controllo a lungo termine del bilancio energetico ma non è il solo responsabile, infatti concorrono al funzionamento anche i segnali periferici che provengono dall’apparato gastrointestinale e dal tessuto adiposo. I principali peptidi coinvolti in questo meccanismo sono: la leptina e la grelina. La leptina è un ormone il cui nome deriva dal greco “leptos” che significa magro, ad indicare la sua capacità di indurre una riduzione di peso e promuovere il senso di sazietà; viene sintetizzata all’interno del tessuto adiposo e la sua quantità nell’organismo è direttamente proporzionale alla quantità di grasso corporeo: maggiore è il grasso corporeo e maggiore è la leptina presente in circolo.
La grelina invece viene prodotta a livello di stomaco e duodeno e i livelli aumentano durante il digiuno per diminuire in seguito all’assunzione di cibo. Ha un’intensa azione stimolatoria della sensazione di fame e svolge un ruolo decisivo sia nell’induzione che nella terminazione del pasto. Altri importanti ormoni coinvolti nella regolazione degli stimoli di fame e sazietà sono: il cortisolo, sintetizzato a livello della corteccia surrenale e l’insulina, prodotta dal pancreas. Questo perfetto meccanismo omeostatico potrebbe però
presentare un problema, infatti il segnale di sazietà inviato al sistema nervoso centrale impiega fino a venti minuti per essere recepito ed è quindi possibile che durante questo lasso di tempo vi sia un’introduzione di cibo superiore alle necessità.
L’ascolto di ciascuno di noi rispetto ai propri segnali interni si rivela fondamentale per il
corretto equilibrio di questo processo, è anzi indispensabile al fine di costruire un rapporto
equilibrato con l’alimentazione, che non implica la ricerca della sazietà in stimoli esterni.
Infatti un importante ruolo è svolto anche dal contesto in cui ci troviamo, il nostro stato
emotivo o la compagnia. Proprio a questi fattori talvolta ci affidiamo per determinare se la
quantità di alimento che abbiamo assunto sia stata adeguata, è a tal proposito che è
necessario l’allenamento ad una personale consapevolezza e la costituzione di una serie
di abitudini e accorgimenti per riuscire a creare uno stile di vita che ci permetta di essere
liberi da schemi alimentari ma allo stesso tempo che possa riuscire ad equilibrare l’assunzione di cibo in maniera naturale, spontanea, senza rinunciare al piacere del gusto e della convivialità. Questo implica il distaccarsi dagli stimoli esterni, ad esempio le
dimensioni del piatto o quelle prestabilite delle porzioni.
Inoltre è necessario prendere coscienza di quello che stiamo facendo nel momento in cui mangiamo, perché è un atto che sempre più spesso viene eseguito con indifferenza poiché la nostra attenzione è nella maggior parte dei casi rivolta ad altre fonti, oppure semplicemente perché è un’azione che ripetiamo almeno due volte al giorno e quindi tende a diventare una doveroso e frettoloso gesto di routine, e nell’odierna società è lo
straordinario che cattura la nostra attenzione e spesso ci fa dimenticare che anche i gesti ordinari, quotidiani, richiedono cura. E’ tuttavia importante ricordare che tutto ciò che mangiamo entra dentro di noi, si trasforma e ci trasforma. Allora, come si può non prestare attenzione ad un’azione così importante ed intima?
A tal proposito sono stati condotti diversi esperimenti, in particolare nel 2005 il ricercatore americano Lansink realizzò: “Bottomless bowls”; a dimostrazione dell’importanza della vista nella percezione di sazietà.
I partecipanti all’esperimento dovevano mangiare un piatto di zuppa e al termine descrivere quale fosse il loro livello di sazietà. Il piatto della
metà dei partecipanti era dotato di un meccanismo che lo riempiva automaticamente senza che se accorgessero, mentre alla seconda metà veniva dato esplicitamente un altro mestolo di zuppa nel caso lo avessero richiesto. Il risultato dell’esperimento fu che il secondo gruppo raggiungeva la sazietà con una minore quantità di zuppa rispetto al primo: questo risultato dimostra che spesso ci affidiamo a fattori esterni, in questo caso la quantità visiva di cibo nel piatto, anziché a quelli interni inviati dal nostro organismo.
Altri studi riscontrano che consumare un pasto di fronte alla televisione o concentrando l’attenzione su una qualunque altra fonte di distrazione fa sì che non ci si renda conto
dell’effettiva quantità di cibo ingerito, con il risultato di assumerne più del necessario.
Questo ha permesso anche di approfondire la ricerca nell’ambito delle abbuffate legate ai disturbi alimentari perché sembra che focalizzare l’attenzione su quello che mangiamo ci preservi dall’ingestione compulsiva tipica di questi disordini.
Alcuni atteggiamenti che possono portare ad assumere una quantità di cibo maggiore di quella necessaria possono essere gestiti direttamente durante il pasto, ad esempio: dedicare almeno mezz’ora ai pasti principali; oppure riempire i piatti prima di iniziare il pasto ed evitare di presentare il cibo in vassoi o zuppiere; o ancora consumare almeno tre pasti al giorno e due spuntini, in modo da creare una routine, non arrivando al pasto successivo con un’eccessiva fame.
Numerosi sono i fattori coinvolti nell’assunzione di cibo, sia interni che esterni, pertanto ci
dovremmo chiedere: che tipo di fame abbiamo quando abbiamo fame?
CHIARA SCATENA
SITOGRAFIA:
https://www.ipsico.it/news/fame-nervosa/
BIBLIOGRAFIA:
Revelli Sorini A. e Cutini S., 2019, Manuale di Gastrosofia, Alieno Editrice, Italia.
Wansink (2005). Bottomless bowls: why visual cues of portion size may influence intake
Bolhuis (2013). Consumption with Large Sip Sizes Increases Food Intake and Leads to
Underestimation of the Amount Consumed
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