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BAMBINI ED ASILO NIDO: QUANDO L’EDUCAZIONE ALIMENTARE NON E’ SEMPRE SEMPLICE

articolo a cura di Rachele Monti

Laureanda In Scienze dell'Alimentazione e Gastronomia


Intolleranze e allergie

L’educazione alimentare è importantissima nei bambini già con la loro esperienza all’asilo nido dove non si troveranno più in un contesto familiare con mamma, babbo o nonni ma con educatrici e amichetti

sperimentando il primo approccio con il cibo in autonomia. Ma non è sempre così semplice. Ho incontrato

Maria, educatrice all’asilo nido Via il Ciuccio a Borgo a Buggiano (PT) per bimbi da 0 a 3 anni, e mi ha

raccontato alcune sue esperienze con alcuni bambini.


L’importanza dell’asilo, per un bambino, è essere consapevoli della presenza di una routine: lavarsi le mani;

indossare il proprio bavaglio posto nella propria ‘’buchetta’’ come la chiamano loro (armadietto personale);

andare a sedersi ognuno al proprio posto ma soprattutto servirsi da soli il cibo ed utilizzare anche bicchieri

di vetro. Questo è un aspetto fondamentale, educano il bimbo a relazionarsi, a condividere ma soprattutto

a creare un buon rapporto con il cibo e iniziare a sviluppare una propria autonomia.

La colazione da loro dura dalle 9:15 alle 10:00 ed il pranzo 1 ora. La colazione viene preparata dalle educatrici

dell’asilo e può variare con latte e cereali, frutta di stagione, un frullato, pane e marmellata o pane e miele permettendo una dieta sana al bambino ma sarà lui a servirsi da solo e mangiare ciò che gli verrà proposto in quella mattinata. Il pranzo invece viene fornito dalla mensa comunale e programmato a seguito di un piano alimentare, fornito da una nutrizionista, adattato ai bambini di quell’età. E anche per il pranzo ogni bambino si servirà da solo il primo, secondo, contorno e acqua.


Racconta Maria che questo bambino, arrivato da lei circa due anni fa con intolleranza al lattosio, era leggermente indietro rispetto gli altri sia per il linguaggio che per l’aspetto socio-relazionale. Inizialmente resta in asilo solo per colazione e mangiava tutto senza problemi, si serviva da solo e ciò che era presente.

Dopo qualche mese iniziò a restare pure per il pranzo. La mensa, in questo caso di intolleranza o per allergie, richiede il certificato medico dal pediatra per attestare la presenza di tale intolleranza. La mensa può far avere al bimbo una dieta alternativa solo a fronte di un certificato medico e non per sola scelta del genitore. A seguito della prima settimana il bambino a pranzo non mangiava niente. Si sedeva al tavolo, effettuava tutta la sua routine, ma non mangiava. Maria pensò fosse per la ‘’nuova situazione’’, che si doveva adattare, passando dal pranzo a casa della nonna a quello in presenza di ‘’tate’’ e amichetti.

La mamma del bambino quindi chiede alla mensa di preparargli solo bastoncini Findus, a seguito sempre di

un certificato redatto dal pediatra dove veniva dichiarato ciò. Maria non era d’accordo con la scelta della

madre ma ha voluto provare per vedere se si creava un momento relazionale con lui in presenza di un alimento gradito. Dopo due settimane passate in questo modo, Maria decide che non potevano andare avanti in quel modo. Era un’educazione sbagliata. Ribadisce l’educatrice che l’esperienza dell’asilo nido serve per trasmettere l’educazione della routine, dell’imparare a servirsi da soli, ad essere autonomi e non solo del ‘’basta mangiare’’.

Cercano di capire quale sia il problema. Tolti i bastoncini Findus, il bambino rifiutava qualsiasi altro cibo gli

veniva proposto ma non la routine. Non il sedersi a tavola con gli altri, ma solo il cibo. Stava volentieri con gli altri bambini e li guardava mentre mangiavano. A seguito di un analisi da parte di Maria, il bambino poteva soffrire di disturbi alimentari. Sapeva che, una volta arrivato a casa, avrebbe comunque mangiato.

Indagando però con la madre scoprì che a seguito delle svezzamento dove si passa da un inizio di pappine a

pastine, semolino poi ditalini fino alla pasta un po’ più grande come le penne e così via, il bambino soffrì di

otite. La mamma passò dal dargli le pastine a frullati. Il bambino ebbe come un blocco. Invece di andare avanti, tornò indietro. Si rese conto anche che la mamma assecondava tutte le sue scelte. Si trovarono davanti quello che loro chiamano taboo alimentare, molto pericoloso per la loro età precoce.


Maria al momento non segue più questo bambino perché è in maternità ma, tramite le sue college, le è stato detto che ha avuto dei miglioramenti socio-relazionali e anche se con ancora un po’ di fatica, è migliorato anche il suo rapporto con il cibo grazie alla presenza della madre occasionalmente durante i pranzi in asilo ed al consiglio che le è stato dato da parte dell’educatrice di svolgere la routine anche durante la cena a casa con

la famiglia così che il bimbo potesse vedere che entrambi, sia lui che la madre, mangiavano la solita pasta.


Maria mi ha raccontato anche che circa due anni fa, le è arrivata una bambina con allergia alle uova e con bisogno di un farmaco salva-vita attraverso una puntura qualora avesse accidentalmente ingerito cibi con

presenza di uova o con comparsa di sintomi come brufolini od irritazioni cutanee. A seguito della presenza del certificato medico da parte della USL, le educatrici hanno dovuto seguire un corso per poter fare questa puntura in caso di necessità e da tenere sempre nella sua buchetta personale. Il primo anno la bimba non era consapevole di ciò che aveva e che sarebbe potuto succedere. Le educatrici facevano molta attenzione ed aveva una sua alimentazione personalizzata con assenza di uova. Aveva alimenti vari, diversi rispetto agli altri senza però mostrare sdegno: lei aveva il formaggino ad esempio e gli altri bimbi la frittata. Dal secondo anno di vita , il momento in cui si delinea il carattere, iniziò ad avere più consapevolezza, ma questo non le creò grandi problemi nel mangiare diverso rispetto gli altri. L’educatrice ha detto anche che all’inizio un po’ si ribellava, ma comunque mangiava, a differenza del bambino intollerante al lattosio. Iniziò ad introdurre 1 pavesino al giorno così da potersi abituare a nuovi alimenti.


Le capitò anche una bambina vegana, scelta però imposta dai genitori. Mangiando così anche a casa la bambina era entrata nell’ottica del vegan e che la carne fosse ‘’cattiva’’. Non era nemmeno incuriosita. Maria notò però che all’asilo la bimba si vergognava nel mangiare tofù, seitan ecc. portato da casa oltre ad avere dei problemi di mal nutrizione (bassa BMI).


I genitori non dovrebbero imporre ai bambini cosa mangiare, soprattutto a quell’età. Sono ancora troppo piccoli anche solo per poter scegliere loro stessi.

Può sembrare semplice educare un bambino all’alimentazione ma, quando portato all’asilo nido, servono educatrici preparate a qualsiasi situazione e che sappiano leggere tra le righe di ciò che succede a tavola

così da poter intervenire subito, sia in ambito medico che psicologico del bambino.


Monti Rachele

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