articolo a cura di Erica Giacomel
Laureanda in scienze dell'alimentazione e gastronomia
Mi capita spesso da quando vivo lontana dai miei genitori di non tornare per lunghi periodi a casa e, quando mi viene un po’ di nostalgia, la prima cosa a cui penso è il pranzo che mi avrebbe preparato nonna o mamma la domenica, una buona lasagna oppure un buon “cunicio in tecia” (coniglio in padella) con la polenta, come si dice in veneto; insomma un cibo che mi ricordi casa per sentirla più vicina. Quando un cibo è legato a un ricordo e lo si ricerca per sentirsi meglio si parla di Comfort food.
Comfort deriva dall’inglese e la sua interpretazione è quella di conforto nel senso di
coccola, lenire, alleviare, colmare o completare.
Un comfort food è quel tipo di cibo nel quale ci rifugiamo se ci sentiamo un po’ giù, ma anche quando siamo felici. È il cibo del pranzo della domenica che ci ricorda tutta la famiglia riunita, è la torta alle mele che avvolgeva la casa di profumo il giorno dell’esame passato, il gelato quando si va al mare, dunque, è per la maggior parte delle volte legato a un ricordo passato di un momento che ci ha reso felici; più che ricerca del piatto in sé si parla di
emozioni legate a quel piatto.
Ma perché è così potente? Alcuni alimenti, come ad esempio il cioccolato fondente, favoriscono il rilascio di dopamina, endorfine e serotonina, neurotrasmettitori che aiutano a migliorare il tono dell’umore, ridurre lo stress e agiscono sui centri del piacere; anche i comfort food favoriscono il loro rilascio ma attraverso la via del ricordo emotivo che dandogli valore attraverso un meccanismo diverso ma pur sempre efficace nel suo scopo.
Questo ci insegna che l’atto del mangiare non è solo un fatto nutrizionale legato all’introito di cibo, ma è anche un fatto psicologico, infatti se ci pensate bene, molte persone non sono molto propense a cambiare abitudini alimentari; un esempio può essere la colazione “non posso eliminarli, brioches e cappuccino mi fanno iniziare meglio la giornata!” è sicuramente una cosa positiva per l’umore ma dal lato nutrizionale questo modo di pensare può portare a squilibri. Un altro lato negativo è sicuramente il senso di colpa che può seguire una serie di abbuffate magari protratte nel tempo, colpevoli di aver mandato in fumo mesi e mesi di sana alimentazione, il che può creare stress e creare un circolo vizioso.
Molte diete falliscono proprio per queste motivazioni, perché non si riesce a vedere nei “nuovi piatti” un appiglio psicologico legato alla memoria e che ci faccia sentire al sicuro. Una delle ultime novità è il ricorso alla Mindfull Eating, un percorso di meditazione che ha come scopo quello di acquisire consapevolezza nel rapporto tra cibo e noi stessi.
Questi percorsi sono utili per chi vuole praticare una sana alimentazione attraverso l’imparare a distinguere i segnali di fame derivanti dal nostro corpo e dalla nostra mente e all’attivazione di tutti i sensi durante i pasti per aiutarci a percepire tutti i gusti ad ogni morso o sorso di ciò che stiamo ingerendo, nonché alle sensazioni derivanti dall’ingestione di un determinato pasto.
I comfort food possono essere un alleato per il nostro umore, sempre se limitati a rare occasioni.
L’approccio al cibo dovrebbe contenere la giusta dose di passione, ricordo, gusto, convivialità ed entusiasmo condito con una buona dose di consapevolezza.
Erica Giacomel
SITOGRAFIA
https://www.psicologoalimentare.it/comfort_food/
https://pianetapsicologia.com/psicologia-alimentare/8-passi-per-praticare-la-
mindful-eating/
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