Il gusto, uno dei nostri cinque sensi che ci permette di percepire nel linguaggio comune il sapore di un alimento, è motivo di studio scientifico e fisiologico, nonché d'interesse anche degustativo per l'evoluzione che ha avuto e continua ad avere nel tempo. Molti furono i filosofi e gli scienziati che si interrogarono sul gusto e su come classificarlo: Aristotele riteneva che i due gusti fondamentali dai quali derivassero tutti gli altri fossero il dolce e l'amaro; Carl von Linnè distinse a metà del Settecento dieci qualità gustative (dolce, amaro, salato, acido, astringente, agro, grasso, mucoso, umido e asciutto); Michel Eugène Chevreul nel 1832 affermò l'esistenza della sensibilità gustativa, tattile ed olfattiva percepita dal cavo orale; a metà dell'Ottocento Adolf Eugen Fick definì quattro gusti fondamentali (dolce, amaro, salato e aspro o agro) e da qui si accese negli anni a seguire il dibattito sul numero di questi; Hand Henning nel 1916 creò il modello teorico del senso del gusto tramite un tetraedro ai vertici del quale ci sono i gusti base e da qui la disputa sui sapori e la loro funzione, che fosse tramite modalità isolate ed indipendenti oppure in un universo sensoriale continuo. Ad oggi abbiamo conoscenze scientifiche (grazie alla scoperta dei recettori del gusto) tali da dirci che il gusto funziona con un sistema stimoli/recettori organizzato in classi indipendenti e che però dopo la trasmissione dei segnali al cervello, i segnali si mescolano. Inoltre nel 1908 è avvenuta la scoperta del chimico giapponese Kikuane Ikeda, del quinto gusto, l'umami, appreso poiché voleva individuare il caratteristico sapore del dashi (prodotto base delle zuppe in Giappone) composto poi isolato nell'alga kombu; il nome “umami” significa “delizioso” ed è stato attribuito a questo neo-gusto internazionale per il senso positivo e gradevole della zuppa tipica della quotidiana gastronomia nipponica. In realtà questo gusto orientale, che sta interessando l'Occidente, caratterizzava già 2000 anni fa la cucina romana, quando il condimento per eccellenza era una salsa di pesce, come sardine o alici (di 4 tipi: garum, allec, muria e liquanem), simile a quella del Sud-Est asiatico.
Il gusto è una “mélange polysensoriel” così come definito da Jacques Puisais (fondatore dell'Institut Francais du Gout), ossia basato su una rappresentazione celebrale di percezione polisensoriale. I nostri sensi infatti, interagiscono continuamente mentre assaporiamo del cibo, integrando nel nostro cervello, dati, percezioni, emozioni e ricordi. Ogni organo di senso infatti si attiva e raccoglie informazioni mentre il cibo è in bocca, per poi codificarle ed unirle a definire, nella corteccia celebrale frontale, il gusto di un cibo, denominato flavour, descritto dalla International Organization for Standardization (ISO) come la “combinazione complessa delle sensazioni olfattive, gustative e trigeminali percepite durante l'assaggio. Il flavour può essere influenzato da affetti tattili, termici, di dolore o cinestetici”. Ogni individuo possiede abilità sensoriali diverse, in base al proprio corredo genetico, per vista, udito, olfatto, nonché gusto. Esistono ad esempio persone cosiddette super taster (circa il 25% della popolazione europea) che sono in grado di percepire molto sensibilmente l'amaro, identificate come medium taster se posseggono una sensibilità media a questo gusto (il 45%) e coloro che invece mostrano poca sensibilità al riconoscimento di questo sono i non-taster (il restante 30%). I bambini invece, hanno un sensibilità ancora maggiore e pertanto avversione più evidente nei confronti di cibi amari.
L'educazione sensoriale fornisce strumenti ed abilità per assaggiare, valutare e gustare cibi e bevande di qualsiasi tipo.
Educare il gusto dei bambini ad esempio può esser fatto stimolandoli delicatamente e con varietà, all'utilizzo dei loro sensi che contemporaneamente creeranno memorie permanenti nella vita e che quindi li guideranno sempre. In un mondo odierno sempre più digitale, informatizzato, in cui si parla di come sviluppare le capacità cognitive dei bambini e sviluppare una loro crescita sana, una buona educazione dei sensi diventa ancora più importante rispetto al passato. Maria Montessori affermava anch'essa l'importanza dell'educazione dei sensi, già nel '900, ritenendo i sensi esploratori dell'ambiente e veicolo di conoscenza, nello specifico scriveva così nel Manuale di Pedagogia Scientifica pubblicato a Napoli, nel 1921 da Alberto Morano Editore: “L’attività di scelta e di esercizio è tutta e solo del bambino, che avendo bisogno di mezzi esteriori per esercitarsi, deve essere iniziato a conoscerli e ad usarli”. Essa creò infatti i 'materiali per l’educazione dei sensi' che riteneva essere “una specie di chiave per aprire una porta all’esplorazione delle cose esterne, come un lume che fa vedere più cose e più particolari che al buio non si potrebbero vedere” (da “La mente del bambino” di M. Montessori) . Mangiare non è un'azione di poco conto seppure compiuta quasi automaticamente più volte al giorno, ma è un gesto capace di creare legami e connessioni che nemmeno immaginiamo e che sono alla base delle esperienze sensoriali studiate dalla “gastrofisica”, una nuova scienza specializzata nello studio delle percezioni sensoriale e le loro dinamiche che si instaurano mangiando e bevendo. Charles Spence, professore di psicologia sperimentale all’UniversitaÌ€ di Oxford, autore di The Perfect Meal: The Multisensory Science of Food and Dining direttore del Crossmodal Research Laboratory, un centro di ricerca sperimentale specializzato nello studio degli effetti degli stimoli sensoriali, soprattutto legati a cibo e psiche, afferma che: «con chi mangiamo, la composizione dei piatti, il colore delle stoviglie e del cibo, la sua consistenza, il suono che produce quando lo mettiamo in bocca, il rumore di fondo del locale e persino il peso delle posate, sono solo alcuni esempi dei numerosi parametri che, attraverso il senso dell’udito, del tatto e della vista, influenzano la nostra percezione del cibo e con i quali, grazie alle scoperte della gastrofisica, uno chef oggi puoÌ€ sperimentare con cognizione di causa, quasi si trattasse di nuovi ingredienti».
Aduriz, ex allievo di Ferran Adrià (padre della cucina molecolare), uno degli chef più vicini alla gastrofisica pensa che si stà sviluppando infatti anche una nuova “gastronomia tecno-psicologica” che grazie alle scoperte nel settore della percezione del cibo, anche dal punto di vista emozionale e della memoria, punta ad offrire, attraverso un dispiego non indifferente di strumenti tecnologici, non semplici piatti, ma “esperienze”.
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