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IL DIGIUNO: UNA PRATICA MILLENARIA

articolo a cura di Michela Giommaroni

Laureanda In Scienze dell'Alimentazione e Gastronomia


Nell’era contemporanea, gran parte del mondo combatte problemi di salute che sono legati ad un’alimentazione eccessiva o scorretta; le malattie cardiovascolari, l’obesità, la sindrome metabolica, il

diabete, sono solo alcune delle patologie che affliggono gran parte della collettività e che rappresentano

una fetta molto ampia delle questioni di salute pubblica. L’abitudine è quella di mangiare troppo e male,

creando della anomalie metaboliche che si riflettono in disturbi diversi e per i quali sarebbe auspicabile

intervenire sui fattori che ne stanno alla base, tra cui, appunto, l’alimentazione.

Una pratica salutistica nota da millenni è quella del digiuno, ovvero di un periodo più o meno lungo di astensione dal cibo, in cui il corpo non essendo impegnato nelle attività metaboliche conseguenti l’introduzione di alimenti, può rigenerarsi. D’altronde fin dall’antichità la pratica del digiuno, se pur in modi diversi e con diverse finalità, è sempre stata associata ad un’elevazione del corpo e dello spirito, Plutarco

aveva addirittura affermato “piuttosto che far ricorso alla medicina, digiuna per un giorno”.


Questo articolo, vuole mettere in luce ciò che la scienza ha proposto sui benefici del digiuno; al contempo tuttavia è bene premettere che lo stesso è sconsigliato a particolari classi di soggetti, tra cui bambini, donne in gravidanza e allattamento, anziani, persone affette da patologie e comunque, in ogni caso, la decisione volontaria di digiunare, dovrebbe sempre essere condivisa con il proprio medico, anche nei soggetti sani.


Non esiste una sola forma di digiunare, si parla ad esempio di digiuno intermittente quando l’assunzione di

cibo è concentrata nell’arco di 6-8 ore e ci si astiene per il resto della giornata oppure si può decidere di rimanere a digiuno 1 giorno alla settima o 1 /2 giorni al mese. E’ stato proposto anche il digiuno a giorni

alterni o quello detto 5:2, che prevede, nell’arco della settimana, 2 giorni non consecutivi a restrizione

calorica e gli altri 5 senza limitazioni. Anche un intervallo di tempo singolo (come ad esempio la pausa

notturna) di astensione dal cibo, può avere un effetto sulla riduzione di alcuni marker associati a malattie

croniche.


Un vecchio detto recita: “colazione da re, pranzo da principe e cena da povero”. Questo pensiero porta con

sé il principio di risparmiare lavoro metabolico al nostro organismo con l’avvicinarsi della sera. Un introito

calorico ridotto in questa fascia oraria, consente infatti un miglior riposo notturno; disattivando le funzioni cellulari deputate alla digestione e assorbimento dei nutrienti, quelle deputate invece alla rigenerazione dell’organismo possono attivarsi con una migliore efficienza, mettendo in atto dei processi di pulizia da scorie e detriti metabolici, necessari per mantenere in salute il nostro cervello.


In condizioni normali, l’assunzione di zuccheri in eccesso, rispetto al proprio fabbisogno, porta ad un

accumulo di questi sotto forma di glicogeno, ma in quantità limitate e il residuo viene trasformato in grasso.

Quando l’organismo viene privato di fonti esogene di nutrienti ed ha ultimato le scorte di glicogeno epatico,

inizia a consumare il deposito di grasso a scopo energetico. In questo processo si producono glicerolo, acidi

grassi liberi e corpi chetonici, tra cui idrossibutirrato e acetoacetato, che sono responsabili di stimolare vie

metaboliche con effetti benefici sulla salute.

Il cervello, a differenza di altri tessuti, non può utilizzare gli acidi grassi, pertanto la sua fonte energetica

dipende in larga parte dai corpi chetonici, glicerolo e amminoacidi, che si attivano per la sintesi di circa 80

grammi/die di glucosio, utilizzato in prevalenza dalle cellule del tessuto cerebrale.

Il glicerolo sintetizzato tramite questa via metabolica (gluconeogenesi), gli acidi grassi liberi e i corpi

chetonici, forniscono agli esseri umani l’energia necessaria alla sopravvivenza nei periodi di astinenza dal

cibo; i pinguini reali sfruttando queste fonti energetiche, possono sopravvivere fino a 5 mesi in assenza di

cibo.

Quello che accade al nostro corpo quando non assume più nutrienti da fonti esterne, è una sorta di adattamento metabolico in cui si generano delle vie biosintetiche per produrre molecole che possono essere catabolizzate dall’organismo e quindi utilizzate come fonti alternative di energia; in questi processi la scienza sembra sostenere che tali molecole non attiverebbero pathways metabolici legati all’invecchiamento cellulare, a differenza delle vie di signaling attivate in genere da molti alimenti. Un esperimento condotto sul microrganismo Escherichia Coli ha dimostrato che E.Coli coltivato in un terreno ricco di nutrienti e poi passato in una coltura priva di fonti di nutrimento, aveva una sopravvivenza superiore di 4 volte; l’effetto si invertiva passando ad un terreno di coltura con abbondanti nutrienti ma assente di acetato. Ciò ha suggerito pertanto come questo chetone, o un suo similare, possa essere implicato in meccanismi metabolici alternativi che consentono una maggiore sopravvivenza in assenza di nutrienti e come tali processi possano far parte di un corredo genetico ancestrale, che si è evoluto nel tempo, consentendo oggi a molti mammiferi di sopravvivere per lunghi periodi di privazione del cibo.

Sebbene la maggior parte delle prove scientifiche disponibili in letteratura, è basata su sperimentazioni in

modelli animali, i risultati sembrano confermare i benefici del digiuno sulla salute, ne è un esempio la

stimolo indotto sulla produzione di nuovi mitocondri (organelli deputati alla produzione di energia

cellulare) che concorrono al processo rigenerativo sotteso al digiuno.


Un altro vantaggio conseguente il digiuno, riguarda la diminuzione dei livelli di insulina in circolo, che

contribuisce pertanto a ridurre il fenomeno dell’insulino-resistenza, molto spesso predittore di patologie

quali il diabete, malattie cardiovascolari o neurodegenerative come il morbo di Parkinson e di Alzheimer.

Gli effetti positivi si estendono anche sul profilo ormonale della leptina e grelina, coinvolti nello stimolo

dell’appetito, e sull’ormone della crescita, che preserva l’organismo dal processo di invecchiamento; non a

caso i livelli di questo ormone tendono ad essere più elevati nelle prime ore del mattino, dopo un periodo

di astensione dal cibo e così il digiuno partecipa al mantenimento di una sua maggiore concentrazione.

Inoltre, lo stato infiammatorio tende a ridursi, così come la formazione di radicali liberi, fattori implicati

nelle malattie croniche e nei processi degenerativi; studi sui ratti hanno notato che il digiuno stimolava l’aumento dei livelli di adiponectina, una citochina prodotta dal tessuto adiposo con effetti anti-

infiammatori.


Anche le cellule nervose sono stimolate positivamente dal digiuno, guadagnando nel mantenimento della

memoria e dell’apprendimento; alcuni esperimenti condotti sui roditori hanno dimostrato che l’alternanza

di giorni di digiuno a giorni di alimentazione standard, ha migliorato la funzione cognitiva la degenerazione neuronale.

Alcune risposte fisiologiche indotte dal digiuno, come la riduzione della pressione arteriosa, della frequenza

cardiaca, dello stress ossidativo e il miglioramento sulla sensibilità all’insulina, sono state equiparate a

quelle di una pratica regolare di attività fisica.

Anche se si potrebbe pensare che gli effetti del digiuno possano ridurre i Kg in eccesso, i risultati più attendibili propendono verso il miglioramento della salute metabolica.


In sintesi il digiuno permetterebbe di ritardare il processo di invecchiamento cellulare e le patologie conseguenti e di ridurre il rischio di malattie croniche, agendo su riduzione di stress ossidativo,

infiammazione, accumulo di proteine disfunzionali, glicemia e insulina; per citare qualche esempio, è stato

riportato che in media 3 giorni di digiuno potrebbero ridurre i livelli di glicemia e di insulina del 30%.


Se mangiare è uno dei piaceri della vita, saltare ogni tanto un pasto e lasciare il nostro organismo qualche

ora in più senza cibo, può permettere alle nostre cellule di funzionare meglio; provate a chiedere consiglio

al vostro medico.


MICHELA GIOMMARONI


BIBLIOGRAFIA

1. Longo VD, Mattson MP. Fasting: molecular mechanisms and clinical applications. Cell

Metab. 2014 Feb 4;19(2):181-92. doi: 10.1016/j.cmet.2013.12.008. Epub 2014 Jan 16. PMID:

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2. Patterson RE, Sears DD. Metabolic Effects of Intermittent Fasting. Annu Rev Nutr. 2017 Aug

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28715993.

3. Rasio D. La Dieta non Dieta. Ed. Mondadori. Milano. 2017.

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