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Immagine del redattoreErika Arena

La dieta chetogenica: vantaggi e svantaggi

articolo a cura di MONICA GIOVE

Laureanda In Scienze dell'Alimentazione e Gastronomia


La società mediatica in cui viviamo ha contribuito a trasformare il cibo in una vera e propria ossessione che, col tempo, ha portato allo sviluppo di un rapporto spesso malsano tra l’uomo e l’alimentazione. I dati epidemiologici affermano che l’obesità è in costante aumento, non solo tra gli adulti ma anche tra i bambini, e questo fenomeno ha posto le basi per la nascita di numerosi modelli alimentari dimagranti che, se osservati in maniera errata e superficiale, possono rivelarsi dannosi.


Tra i diversi schemi alimentari proposti, la dieta chetogenica (KD) risulta tra quelli più in voga.

La dieta KD fu proposta negli anni ’20 dal dr. Wilder che ottenne risultati soddisfacenti nella cura dell’epilessia e nel controllo delle crisi. Successivamente, con l’introduzione delle cure

farmacologiche, la dieta KD finì però nel dimenticatoio fino a qualche anno fa, quando fu

rispolverata per essere utilizzata come regime dimagrante.

Nota anche come dieta dei 21 giorni, periodo massimo per il quale può essere adottata, consente di imitare una condizione di simil-digiuno basata su un elevato consumo di grassi, pochi carboidrati e un normale apporto proteico. L’obiettivo è di portare il corpo ad utilizzare i grassi come fonte di energia alternativa al glucosio, producendo corpi chetonici quali acetone, aceto acetato e 3- idrossibutirrato. In questo modo, la chetosi indotta dall’alimentazione va a sopprimere gli ormoni della fame che stimolano l’appetito, lasciando invece inalterati quelli della sazietà.

Per capire se si è raggiunto lo stato di chetosi, che generalmente avviene dopo circa due giorni dall’inizio della dieta, vengono osservati alcuni segnali come l’alito fruttato che odora di acetone, secchezza in bocca con conseguente aumento della sete e necessità di urinare. Ma naturalmente vi sono anche dei parametri chimici che devono essere monitorati dal nutrizionista attraverso la chetonuria, esame in cui si utilizzano semplici stick colorati per valutare il colore delle urine. In questa fase iniziale, inoltre, possono verificarsi alcuni effetti indesiderati quali cali di energia, stanchezza e spossatezza, condizioni da denunciare immediatamente al proprio nutrizionista in quanto potrebbero richiedere un’integrazione di vitamine e sali minerali.


Gli alimenti consigliati includono:

  • Pesce (azzurro, molluschi, salmone, etc...) meglio se selvatico

  • Carni, preferibilmente bianche e di qualità

  • Uova

  • Formaggi e latticini grassi

  • Verdure a foglia verde e ortaggi

  • Affettati

  • Liquidi: acqua naturale (almeno 2 lt al giorno), caffè, tisane e altre bevande NON zuccherate

  • Condimenti: 30 ml di olio EVO al giorno

Da evitare o ridurre al minimo:

  • Prodotti a base di grano e altri cereali (pasta, pane, pizza, etc...)

  • Legumi

  • Patate

  • Zuccheri di ogni genere



In questo modo, si stima che la dieta KD porti alla perdita di circa 5 kg in meno di due settimane.

Una volta terminato il ciclo, il paziente dovrà seguire un piano di reintegro per poter reintrodurre gradualmente tutti gli alimenti precedentemente eliminati, fino ad arrivare ad un modello dietetico

standard e più equilibrato.

Uno schema dietetico così drastico presenta inevitabilmente effetti collaterali che, talvolta, portano ad un abbandono da parte dei pazienti, i quali non riescono quindi a completare l’intero percorso. Questi possono includere nausea, vomito, disidratazione, costipazione e riduzione dell’appetito. Ma possono sfociare anche in condizioni patologiche ben più gravi come epatite, pancreatite, ipoglicemia, ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia. Mentre tra le conseguenze tardive si possono osservare riduzione della densità minerale ossea, deficit vitaminici e minerali, cardiomiopatie, anemia e aterosclerosi. Inoltre la chetosi è una condizione tendenzialmente tossica per l’organismo, che provvede all'eliminazione dei corpi chetonici attraverso escrezione renale con un conseguente sovraffaticamento di questi organi.

Per questi motivi la KD è assolutamente sconsigliata per quei soggetti affetti da insufficienza renale

ed epatica, diabete di tipo I, disturbi del comportamento alimentare e con pregressi di ictus, nonché

per le donne in gravidanza e in allattamento, anziani e ragazzi in età evolutiva.

Diversamente è indicata per quei soggetti che presentano un elevato BMI (>25), diabete di tipo II e insulino-resistenza, dislipidemie, sindromi metaboliche o eventualmente nel pre-intervento bariatrico.

Considerate quindi le possibili controindicazioni e l’impatto che queste possono avere sull’organismo umano, è fortemente sconsigliato adottare tale modello senza la supervisione di una figura professionale come il medico nutrizionista o il biologo nutrizionista.

D’altro canto, diversi studi preliminari hanno riportato risultati promettenti evidenziando un potenziale neuroprotettivo e antinfiammatorio.


Uno studio pilota condotto in Nuova Zelanda ha mostrato progressi significativi nei sintomi non motori di pazienti affetti dalla malattia di Parkinson, con un miglioramento del metabolismo energetico dei neuroni del sistema nervoso centrale e una conseguente riduzione dei danni ossidativi. Tuttavia gli effetti secondari sopra indicati possono portare ad un’esacerbazione dello stato di malnutrizione a cui i pazienti parkinsoniani generalmente vanno incontro, motivo per cui sono necessari ulteriori studi di approfondimento.


In alcuni casi di endometriosi, invece, è stato osservato che la dieta KD riduce la conversione periferica degli androgeni in estrogeni, con un minor impatto sui focolai di endometriosi estrogeno- dipendenti. Inoltre si verifica un aumento nella produzione di prostaglandine che, insieme all’inibizione dell’inflammasoma da parte del 3-idrossibutirrato, esercitano azione antinfiammatoria.


In base alle evidenze riportate è quindi ragionevole ricorrere alla strategia chetogenica, rigorosamente sotto stretta supervisione medica, solo nel caso in cui altri schemi alimentari standard si siano rivelati inefficaci nella perdita del peso corporeo o, eventualmente, per sostenere il paziente nella gestione di determinate condizioni cliniche come l’endometriosi.

MONICA GIOVE


Bibliografia:

1. Włodarek, D. (2019). Role of Ketogenic Diets in Neurodegenerative Diseases (Alzheimer’s

Disease and Parkinson’s Disease. Nutrients , 11 (1), 169.

2. Alimentazione e salute. Le risposte scientifiche a domande frequenti, Fondazione Umberto

Veronesi

3. Fondazione ADI: position paper. La Dieta Chetogenica. Attualità in dietetica e nutrizione

clinica. (2014)

4. Phillips, M., Murtagh, D., Gilbertson, L., Asztely, F., & Lynch, C. (2018). Low-fat versus

ketogenic diet in Parkinson's disease: A pilot randomized controlled trial. Movement

Disorders , 34 (1), 157.

5. Lin YH, Chen YH Et al. (2018) Chronic Niche Inflammation in Endometriosis-Associated

Infertility: Current Understanding and Future Therapeutic Strategies. Int J Mol Sci, 19, 2385

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