articolo a cura di Chiara Scatena
Laureanda in Scienze dell'Alimentazione e Gastronomia
Quando parliamo di neofobia alimentare ci riferiamo alla riluttanza ad ingerire nuovi cibi, infatti letteralmente neofobia significa paura del nuovo, ed è una caratteristica degli animali onnivori, compreso l’uomo. Si identifica in una forma di protezione rispetto al rischio di ingerire alimenti tossici, evitando i cibi nuovi e preferendo quelli familiari e conosciuti.
Questo sistema protettivo non è presente fin dalla nascita ma inizia a manifestarsi intorno alla fine del primo anno di vita per toccare l’apice tra i 2 e i 5 anni, periodo in cui avviene il passaggio dal latte materno ai cibi solidi, soprattutto rispetto a frutta, verdura e pesce. È infatti un periodo particolare, in cui il genitore deve adottare alcuni accorgimenti per superare al meglio questa fase, fondamentale per lo sviluppo delle preferenze alimentari, cercando di non fare in modo che persista e che diventi un aspetto che il bambino si porterà dietro fino all’età adulta. Infatti individui che hanno un forte atteggiamento neofobico tendono ad avere una dieta monotona e rischiano, nel lungo periodo, di riscontare uno squilibrio nell’assunzione dei nutrienti. È fondamentale variare le ricette fin da subito, evitando la monotonia di sapori, colori e consistenza ed anche fare in modo che il pasto sia uguale per tutti, per invogliare il bambino mostrandogli che
tutti si alimentano con lo stesso cibo. Anche mangiare a scuola, ad esempio, ed osservare i coetanei consumare un determinato cibo ne aumenta l’accettazione e la presenza di educatori esterni ai genitori rappresenta un fattore positivo. Vari studi hanno esaminato le somiglianze familiari in termini di preferenze alimentari
mostrando una modesta relazione tra le preferenze dei genitori e quelle dei bambini, ed una correlazione ancora più consistente tra fratelli. Infatti i genitori con maggior grado di neofobia alimentare da adulti prediligono un’alimentazione selettiva che influenza il nucleo familiare.
Tuttavia si ha ancora un’approssimata comprensione dei fattori che promuovono o inibiscono la risposta neofobica e concorrono allo sviluppo delle preferenze alimentari. È stato provato che la risposta neofobica è inversamente proporzionale alle occasioni di consumo di cibi nuovi, infatti quando ai bambini di 2 anni viene data la possibilità di poter scegliere di assaggiare nuovi alimenti, le loro preferenze aumentano con la frequenza di esposizione: sono necessarie tra le 5 e le 10 esposizioni ad un nuovo cibo per permettere che esso si manifesti come una preferenza. Per quanto riguarda l’osservazione o l’esperienza olfattiva, esse non
rappresentano mezzi per il contrasto della neofobia, ma si rivela efficace solo l’assaggio, attraverso il quale il bambino apprende la sicurezza che l’ingestione di quel determinato cibo non provoca effetti negativi.
Con la crescita, quindi avvicinandosi all’adolescenza e successivamente all’età adulta, la tendenza neofobica tende a diminuire spontaneamente, ma una ricerca condotta da P. Pliner, con lo scopo di esplorare il perché le persone adulte talvolta siano riluttanti ad assaggiare cibi nuovi, dimostra che fornendo informazioni sul
buon gusto dei nuovi cibi o fornendo l’occasione di un piccolo assaggio, sembra possibile ridurre il livello di neofobia anche negli adulti. Mentre le sole informazioni nutrizionali, o in che modo il cibo faccia bene al proprio organismo non si rivelano informazioni utili alla riduzione della tendenza neofobica.
L’aspetto sociale di questo atteggiamento è tuttavia importante, perché cibarsi è spesso, come anticipato inizialmente, un evento sociale, soprattutto per bambini ed adolescenti, infatti la presenza di altre persone può avere un importante impatto sulle scelte alimentari. Fin da subito i comportamenti alimentari delle madri e della
famiglia influenzano lo sviluppo dell’approccio alimentare del bambino, e questo processo inizia già a livello fetale. Anche l’osservazione dei coetanei è importante perché il fattore sociale induce al consumo di alimenti inizialmente considerati sgradevoli e le persone vicine al bambino risultano avere più impatto rispetto agli sconosciuti. L’interazione genitore-figlio durante il pasto non è da sottovalutare, infatti riveste un ruolo di rilevanza nella selezione dei cibi e si considerano particolarmente importanti le strategie utilizzate dei genitori per stimolare l’assunzione di determinati alimenti, che spesso però possono essere controproducenti, soprattutto nel lungo periodo. Ad esempio, è sconsigliato associare il cibo ad una ricompensa e classificare alcuni alimenti come “buoni” ed
altri come “cattivi”, utilizzandoli rispettivamente come premi e come necessità nutrizionali.
L’uomo, come altre specie animali, associa il gradimento di un alimento alle conseguenze dell’ingestione, che possono rivelasi positive o negative, nel caso in cui si manifesti ad esempio vomito o nausea. Nell’ultimo caso i segnali ricevuti generano inevitabilmente avversione verso il cibo ingerito, che può svilupparsi anche dopo un solo assaggio e può persistere a lungo, mentre le preferenze alimentari si instaurano lentamente e dopo ripetuti assaggi e possono modificarsi molto velocemente.
È fondamentale quindi, fornire in ambito familiare e nei contesti in cui il bambino vive, un’appropriata educazione alimentare, per fronteggiare la neofobia e fornire gli strumenti per la promozione di uno stile alimentare sano.
I genitori dovrebbero adottare strategie virtuose e offrire proposte alimentari stimolanti per il bambino,
che abbiano una buona varietà di cibi e siano frequenti. Mentre l’adulto dovrebbe cercare di assaggiare alimenti che a primo impatto sembrano sgradevoli, magari apprendendone prima la storia e le caratteristiche, in modo da avere un approccio consapevole e poter scegliere sulla base di diversi fattori.
Chiara Scatena
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