articolo a cura di RITA MAURO
Laureanda in Scienze dell'Alimentazione Gastronomia
Il gusto, come risaputo, è il senso più “povero” rispetto a gli altri sensi in quanto è in grado di percepire solo quattro sensazioni che sono il gusto dolce,il salato, l’amaro e l’acido a cui si aggiungono le sensazioni tattili. Chimicamente quando gustiamo intervengono sia i recettori della mucosa olfattiva che fanno si che i sapori arrivino alla bocca per via retronasale, sia le papille gustative.
Il sapore viene classificato attraverso i termini di taste e flavour che indicano rispettivamente il gusto e il sapore ; il primo dipende dalle componenti solubili del cibo che colpiscono i chemiorecettori della bocca, il secondo si riferisce al gusto in senso esteso cioè all’esperienza unificata di sapore e odore. La percezione di un alimento avviene attraverso al suo riconoscimento aromatico, gli “aromi di bocca” percepiti dalla mucosa si integrano con i sapori percepiti dalle papille gustative, ad esempio quando siamo raffreddati non riconosciamo un cibo solo gustandolo in quanto i segnali che i sapori inviano al cervello sono insufficienti.
Lo psicologo James Gibson nel suo lavoro “I sensi considerati come sistemi percettivi”(1966) parla del gusto e dell’olfatto in funzione dell’uso e non come nervi e recettori, il senso del gusto è in realtà un sistema percettivo dove il gusto è un senso minore se ci riferiamo alle sensazioni provocate dai chemiorecettori del taste mentre è inteso come sistema percettivo il gusto flavour molto importante che scandisce l’esperienza. Per Gibson il significato del concetto era nel suo uso nella vita quotidiana dove per gustare un alimento intervengono oltre al gusto e l’olfatto anche la vista e il tatto, adotta un approccio di tipo ecologico alla percezione, che riconosca il valore e il problema del contenuto d’informazione dello stimolo anziché la semplice stimolazione dei chemiorecettori, il fenomeno percettivo è il risultato delle caratteristiche ecologiche degli stimoli ambientali quindi percepire è prendere l’informazione disponibile nell’ambiente.
La percezione è vista come funzione adattativa , nel senso che nel mondo esterno deve fornire informazioni capaci di guidare in senso funzionale i comportamenti adattativi. Il concetto di “Affondances”consente di precisare una peculiarità degli oggetti ambientali ed una corrispondenza tra questi oggetti e le aspettative- ipotesi degli individui che in relazione a tali oggetti si comportano e percepiscono, gli oggetti presentano delle caratteristiche che in qualche modo ne suggeriscono l’uso.
Le affondances dell’ambiente sono ciò che l’ambiente offre, sono proprietà delle cose in riferimento ad un osservatore, ma non sono proprietà dell’esperienza dell’osservatore, non sono valori soggettivi, ma sono permanenti e specifici e non cambiano col mutare dei bisogni. Il sistema percettivo del gusto, secondo lo psicologo, non dovrebbe essere considerato un senso chimico in quanto solo le sostanze volatili e sapide interessano i chemiorecettori mentre tutte le altre sensazioni non riguardano la chimica ma sono valori nutritivi, gastronomici legati senz’altro a concetti chimici fisici e biologici ma inerenti alla cucina e alla nutrizione.
Per la teoria ecologica di Gibson l’essere umano non elabora le informazioni, ma è il sistema percettivo che si è evoluto in modo tale che le informazioni siano presenti e che noi le cogliamo senza doverle elaborare, il riconoscimento avviene senza ulteriori processi.
Il gusto ci permette di riconoscere, provare piacere, apprezzare le qualità, questo ha a fare con l’apprendimento di un linguaggio rispetto ai sensi che è uguale a quello che avviene con tutti gli altri sensi. Come un bambino impara a riconoscere i colori e le forme così impara a riconoscere i sapori e gli odori. Questo tipo di riconoscimento è una funzione primaria e fondamentale del gusto che non ha nulla a che vedere con mi piace e non mi piace, è una funzione legata a discorsi sull’evoluzionismo, si parla di funzione nociceptiva del gusto che consente di riconoscere ciò che è nocivo, che nuoce, che è tossico.
Dal punto di vista evoluzionistico quando l’uomo primitivo doveva procacciarsi il cibo in modo selvatico andando nei boschi e cacciandolo la capacità di percepire ciò che poteva essere tossico era fondamentale, in tal caso alcuni studiosi hanno parlato di gusto e olfatto come “guardiani della vita”.
Per questo motivo evoluzionistico ad esempio i neonati presentano una forte repulsione per l’amaro, proprio perché l’amaro sotto il piano nociceptivo è spesso associato alle sostanze tossiche e quindi hai pericoli. Al contrario il dolce e il grasso sono associati a fonte di energia, quindi a ciò che sostiene la vita è rappresentano qualcosa di prediletto.
Naturalmente non tutto ciò che è amaro è tossico e ciò che non è amaro non è tossico, ma successivamente con l’educazione e l’apprendimento alimentare si insegnerà al bambino a riconoscere qualcosa al di là dell’apparenza.
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