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METODI DI ALLEVAMENTO A CONFRONTO:BIOLOGICO E CONVENZIONALE

articolo a cura di Chiara Scatena

Laureanda in Scienze dell'Alimentazione e Gastronomia


È ormai consuetudine trovare prodotti a marchio biologico all’interno di supermercati e centri commerciali, è infatti anche a seguito dell’interesse della Grande Distribuzione Organizzata che il biologico ha iniziato ad

occupare una buona parte del mercato e di anno in anno, soprattutto per i prodotti freschi come frutta e verdura, latte, uova, carne e pesce viene posta particolare attenzione al momento dell’acquisto. Il report annuale “Bio in cifre” di ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) e SINAB (Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica) conferma la continua crescita di questo mercato,

registrando nel 2020 l’aumento degli operatori biologici del 69% e del 79% degli ettari di superficie biologica coltivata rispetto al 2010. È stato anche rilevato un incremento del numero di animali allevati con il metodo biologico, ad esempio per quanto riguarda i bovini il numero di capi è passato da 207.015 nel 2010 a 389.665 nel 2020.


Attraverso una serie di studi, ad oggi, non è possibile riscontrare consistenti differenze in termini di componenti nutrizionali all’interno dello stesso prodotto ottenuto con i due diversi metodi, ma quali sono le reali differenze a livello di allevamento e di benessere animale tra i due approcci?


L’allevamento intensivo ha suscitato numerosi dibattiti negli ultimi venti anni, sia in termini di impatto ambientale che di sicurezza alimentare e di tutela del benessere animale. È anche a seguito di queste problematiche che è cresciuta la necessità di individuare sistemi di allevamento maggiormente sostenibili. L’allevamento convenzionale è infatti basato sulla massimizzazione del profitto, pertanto gli animali vengono nutriti con cibo ottenuto con metodi convenzionali soprattutto a base di frumento, mais e soia; inoltre gli spazi di allevamento sono ristretti e questo ha spesso conseguenze negative per il loro benessere perché può portare a fenomeni di cannibalismo e stress da sovraffollamento con conseguente caduta delle difese immunitarie. Per prevenire questa possibile conseguenza è consuetudine effettuare mutilazioni come ad esempio l’accorciamento del becco delle galline. La protezione dal diffondersi delle infezioni, incentivate anche dallo spazio limitato, si basa sull’utilizzo di di medicinali ed antibiotici,

punto critico del dibattito rispetto alla sostenibilità e salubrità dei prodotti ottenuti con il metodo di allevamento convenzionale. L’aspetto legato all’ambiente invece riguarda la produzione di anidride carbonica dovuta a questo tipo di allevamenti, la produzione di liquami che potrebbe essere causa di inquinamento per le riserve idriche e lo sfruttamento delle risorse naturali ambientali. Il rapporto di Greenpeace del 2020 stima infatti una produzione di 704 milioni di tonnellate di anidride carbonica a carico della zootecnia europea.

L’approccio che viene proposto con il metodo biologico, invece, prevede un legame tra benessere animale, del terreno, delle acque, della biodiversità, del clima e dell’uomo. Infatti la resa è minore rispetto al metodo convenzionale

sia in termini di agricoltura che di allevamento proprio perché la massimizzazione del profitto non rientra tra i principali obiettivi di questa

filosofia. Gli animali vengono allevati in spazi ampi per garantire loro libertà di movimento e di espressione dei comportamenti tipici della specie e l’accesso al pascolo è garantito almeno nella misura imposta dai regolamenti. Inoltre è vietato l’uso di antibiotici, ormoni e altre sostanze che stimolano la crescita

precoce. È posta anche particolare attenzione alla scelta delle specie, vengono infatti preferite quelle autoctone al fine di migliorarne l’adattamento e di conseguenza non avere carenze a livello immunitario ed ottenere

maggiore resistenza. Quindi vengono realizzate condizioni di vita che favoriscano il comportamento naturale e la salute dell’animale, che si pensa si ripercuotano sulla sicurezza alimentare e sul benessere dell’uomo.


I temi del benessere animale e dell’allevamento intensivo sembrano però non essere del tutto incompatibili. Se prendiamo in considerazione le “cinque libertà” del FAWC (Farm Animal Welfare Committee) pubblicate nel 1979:

libertà dalla fame e dalla sete, libertà dal disagio, libertà dal dolore, ferite e malattie, libertà di esprimere i comportamenti normali e libertà dalla paura e dolore; è sulla base di queste libertà che si fonda il concetto di benessere animale ed esse trovano riscontro anche nel metodo convenzionale. È quindi dibattuta la posizione del metodo biologico nell’ottica di affermarsi superiore a quello convenzionale, anche rispetto alla questione della crescita del mercato che, a causa della minore resa, porrà nel futuro imminente la necessità di convertire ulteriori aree a terreni agricoli per incontrare l’aumento della richiesta. Sono pertanto diversi i temi su cui i sostenitori dell’uno o dell’altro metodo si trovano in contrasto, ma è possibile individuare tra le principali differenze l’attenzione che, attraverso l’applicazione dei rigidi regolamenti, viene posta con metodo biologico rispetto al benessere animale.


Infatti le condizioni di allevamento presentano caratteristiche più vicine a quelle che si verificherebbero in natura e questo metodo non si concentra sulla massimizzazione del profitto, bensì sull’equilibrio del benessere di animali, uomo, clima e risorse naturali.


Chiara Scatena

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